Il Mezzogiorno ha memoria   

Badi chiunque sia tentato di allearsi con la Lega, ipotizzando una possibile esportazione del modello federalista nelle regioni meridionali. Il Sud è quella entità fatta dagli uomini e donne, braccianti e operai, briganti e dirigenti, uomini di colore e chiassosi tarantellisti, che hanno profondo nel cuore il proprio appartenere al progetto che essi stessi hanno costruito. Il progetto è quello di una Europa al tempo stesso omologa e multiculturale, all’interno della quale l’Italia, conquistata come nazione con sacrifici indicibili, è segno e patria delle identità variopinte che la costituiscono. Il Sud è la porta del Mediterraneo di questo progetto, che ci vede arabi nei tratti somatici, francesi nel buon gusto e spagnoli nell’energia. Il Mezzogiorno è la culla etrusca della cultura di cui siamo figli, pervasi dalle correnti dei due fiumi della valle mesopotamica, capaci di costruire le sorti degli imperi passati nella storia, sempre avendo respinto l’elmo longobardo o l’ala vichinga, dopo averne annullato ogni velleità con il calore del nostro vino e delle nostre donne, con la sagacia delle nostre capacità politiche e mercantili, annullandone l’ignorante violenza con la profondità del nostro creare diritto e democrazia. Millenni di storia alle nostre spalle non possono consentire a nessuno di lasciarsi adulare dalla tentazione di affondare le mani nel dolore delle sofferenze passate e attuali del nostro popolo, quello del regno con il maggior numero di musei e teatri d’ogni periodo. Chi tenta l’operazione perpetuata dalla Lega nel Nord, con il cantastorie Bossi che, chitarra e barolo, cavalcava e cavalca l’ignoranza colona padana, troverà qui a Sud gente sporca di terra capace d’indossare il costume più bianco tra tutte le maschere, quella di Pulcinella. Che ha un sorriso così aperto da alzargli le guance, ma su occhi così attenti e tristi da far paura persino al diavolo. Normalmente preso a sonore randellate al termine di ogni spettacolo, come merita chi dell’anima meridionale osa toccarne i fili più profondi con il solo scopo di perseguire vani fini elettoralistici, sempre puniti nel tempo. Perché la nostra miseria, la nostra disoccupazione, la nostra povertà, sono solo materiali, non spirituali. E, come dimostrano anche i risultati politici recenti, siamo pure di ottima memoria, pronti a castigare malamente chi s’associa al gioco secolare delle promesse vane. Promesse e dolori che ci tengono uniti, a noi siciliani, campani, pugliesi, calabresi, lucani, molisani, ma anche sardi, marchigiani, abruzzesi ed, in parte, laziali. Uniti dall’amore, il primo dei nostri valori, che genera ospitalità, calore, solidarietà, fratellanza. La stessa con cui ci rapportiamo con i tanti emigranti che sfruttano le nostre coste per entrare in occidente, come se fossero figli di quei bastimenti che anni fa si staccavano da quelle stesse coste, figli di quelle auto sgangherate piene di anime che si tramutavano nelle pezze colorate dei magliari. Impresa leggermente più defatigante del costituire la rete di microimprese trivenete, subfornitori di altri; forse, come dimostrano i tempi, più schiavi di noi terroni.