Senza leader   

Alla fine i politici si dovranno pure rendere conto che una decina di anni fa l’Italia è scesa in piazza per accelerare quel processo di modernizzazione che partiva dall’introduzione del maggioritario nel sistema elettorale, base prioritaria per tentare di ridurre il numero di simboli e liste presentate alle elezioni e giungere al bipolarismo. Trampolino di lancio inevitabile per arrivare con il tempo al desiderato presidenzialismo, sperimentato prima con il potere assegnato ai sindaci e trasferito in seguito ai governatori delle Regioni, rese sempre più autonome e rilevanti nella gestione locale dal federalismo. Ma nella pratica poi queste riforme hanno sempre portato con se un aggettivo che le ha qualificate: imperfette. In realtà, per esempio, la maggioranza degli italiani votò per abrogare la quota proporzionale in un referendum in cui si disse non raggiunto il quorum, solo perché, come provato subito dopo, nelle liste elettorali esistevano grandi errori. La cancellazione del computo dei morti portò alla cancellazione di oltre 350mila elettori: il quorum non fu raggiunto per circa 150mila voti! Tradendo l’istituto del referendum, previsto oltre che dalla Svizzera e dall’Italia solo da qualche stato americano, come la California. Ignorare la volontà popolare di allora, ignorare i reali desiderata della popolazione, ci sta spingendo in un baratro anacronistico che potrà essere solo fautore di odiose restaurazioni, traditrici delle riforme e del cambiamento che a chiacchiere ancora è presente sulla bocca di tutti. Quando Urbani fece capire a Berlusconi e ai suoi fedelissimi che la riforma avrebbe permesso di governare l’Italia anche ottenendo solo il 30 per cento dei voti, ottenendo l’entusiasmo del nostro presidente del Consiglio, non aveva previsto l’esistenza dei residui portatori di instabilità che diedero modo alla Lega di effettuare il ribaltone famoso. Ma quello che ancora non si era colto e previsto era la recidività con cui il vecchio modo di fare politica ed esercitare il potere avrebbe corrotto il pocesso di trasformazione. Concentrati su una banale opposizione all’eventualità di una “vittoria comunista” dell’altra coalizione, i non esperti politici della Cdl hanno lasciato crescere, in entrambi i poli, quelle istanze personalistiche e retrive figlie di una vecchia Dc, frazionata ma esperta. Oggi ci sono più ex democristiani alla Camera e al Senato di quanti ve ne fossero durante il cinquantennio del dopoguerra. Con il risultato effettivo di avere un leader dimezzato a destra, grazie alla disattenzione che ha portato Fi a ridurre il proprio peso elettorale specifico e allo spazio lasciato ai partitini divenuti di nuovo ago della bilancia fautore di ricatti e tensioni interne. Simile scenario a sinistra, dove il leader proprio non esiste, nonostante gli sforzi e lo sbattere dei piedi di Prodi, che tra primarie e documenti collegiali di approvazione continua il suo triste percorso di autodelegittimazione. Possibile che nessuno impari la lezione dei riottosi governatori regionali plenipotenziari, da Storace a Bassolino? E che nessuno ricordi lo stile e i metodi che portarono Craxi alla sua indiscussa leadership?