Pillola abortiva: coscienza e terapia del dolore   

In questi giorni sembra che la Procura di Torino stia indagando sulla corretta applicazione del protocollo per la sperimentazione, presso l’Ospedale Sant’Anna di quella città, della pillola abortiva RU 486. Il primo indagato sarebbe il medico simbolo della promozione del farmaco in Italia, insieme ai suoi colleghi.
Essendo nota la serietà del professionista, e nessuno volendo rischiare che i movimenti antiaboristi possano cavalcare errori in tal senso, l’indagine si dissolverà in una nuvola di fumo, come segnala anche il Ministro Livia Turco che sottolinea la regolarità della sperimentazione. Ma cos’è e perché si parla tanto di RU 486? Nota negli Usa con il nome commerciale di Mifeprex (mifepristone) distribuito dalla casa farmaceutica Danco, la pillola abortiva è stata già utilizzata da oltre un milione di donne nel mondo. La Fda, Federal Drug Administration americana, ha raccolto la segnalazione di alcuni decessi, solo quattro, provocati da infezioni segnalate come rischio ordinario in qualunque situazione abortiva. Inoltre la RU 586 è già stata ampiamente sperimentata in altre nazioni europee. Perché allora produce tanto scandalo e clamore in Italia?
Certamente la cosa è connessa con la presenza tra i nostri confini di Città del Vaticano, lo stato che oppone argomentazioni etiche anche contro la legge 194, nata e voluta non per auspicare la pratica diffusa di aborti, ma per sottrarre le donne alla necessità di ricorrere all’aborto in modo illecito, come avveniva prima della legge. Con la pillola abortiva si vuole ulteriormente sottrarre le donne allo scempio fisico della operazione di raschiamento e aspirazione che oggi si realizza in un aborto chirurgico, sommando disagio fisico a quello psicologico e morale delle donne che si trovano nelle condizioni che spingono, e talvolta impongono, ad una scelta mai facile. Perché, se è possibile ridurre dolore, traumi, angosce e rischi, ci si continua a opporre ad una pratica farmacologia meno invasiva? Lo si dovrebbe domandare a quella parte così ampia di sanitari che si nascondono dietro una obiezione di coscienza troppo abusata per rimanere un diritto, e che spesso lede quello della donna incinta, proprio in barba alla legge 194 e agli obblighi che impone al mondo sanitario. A proposito di coscienza: cosa dire in relazione all’aumento delle settimane di crescita del feto imposto dall’eccesso di obiezione di coscienza, e quindi all’insufficienza di risorse umane che determina ritardi nell’attuare l’aborto?