Stravolgimenti strutturali   

Prima di occuparsi di devolution, specie con la fretta leghista dettata solo da fini elettorali, sarebbe stato meglio occuparsi di ragionare, tutti insieme, sulla necessaria riforma strutturale del sistema pensionistico italiano. Senza entrare nel merito della validità dell’operazione superbonus, che comunque sta già generando i suoi frutti, sarebbe opportuno trovare il sistema di intervenire sulla quota di contributi versati dai lavoratori per garantirsi una pensione al termine del proprio percorso lavorativo. Attuando anche misure innovative che stravolgano i concetti di garanzie fin qui utilizzati, partendo dall’evidenza che tali garanzie lo sono di nome ma rischiano di non esserlo nei fatti. E’ infatti contenuta l’aspettativa futura delle nuove generazioni verso il vecchio concetto della pensione d’anzianità, come dimostra il sempre maggiore utilizzo delle pensioni integrative, che nei mercati più garanti del risparmio, come quelli anglosassoni, rappresentano Fondi di investimento in grado di produrre effettiva ricchezza e potere economico di intere categorie di lavoratori. Certo in un regime di welfare completamente diverso dal nostro. Ma, volando con la fantasia, quanti lavoratori sarebbero disposti a rinunciare alle garanzie gestite dall’Inps se potessero autonomamente governare una porzione del contributo previdnziale? Quanto sarebbero disposti a rinucniare, in cambio di una monetizzazione di una sua quota? Così come siamo per una gestione autonoma dell’Irpef, cioé della cancellazione dell’istituto della ritenuta alla fonte per dipendenti e autonomi, cancellando la figura dello stato patriarca, istituto tra l’altro inutilmente costoso e ridondante per gli impiegati pubblici; così come siamo contrari all’affidamento ai sindacati della gestione di parte delle quote Inps e Inail; così come lo Stato deve trovare una soluzione diversa e più equa per risolvere il gettito necessario al servizio sanitario nazionale, non solo modificando ormai inevitabilmente l’Irap ma agendo anche sul costo malavitoso delle forniture sanitarie; così come pensiamo sia necessario da tempo porre mano allo Statuto dei lavoratori e alle aberrazioni provocate dall’articolo 18; così immaginiamo possibile la realizzazione di una riduzione del carico del contributo previdenziale, e quindi del costo del lavoro, attuato attraverso una monetizzazione di parte di esso in busta paga, con una riduzione proporzionale a favore del datore di lavoro, in cambio di una rinuncia volontari da parte del lavoratore di benefici futuri. Lasciando in piedi quindi solo una quota pari alla contribuzione per la pensione minima, inevitabilmente garantita, o congelando i diritti acquisiti al momento. Restituendo, nell’imponibile al lavoratore, un terzo di questo valore e diminuendo dello stesso importo il residuo valore dai contributi da versare a carico dell’azienda. Rinunciare tutti a qualcosa per aumentare il potere di spesa e ridurre il costo del lavoro. Ovviamente solo su espressione volontaria da parte del lavoratore, che, nel clima di sfiducia verso il sistema pensionistico statale e di aumento del costo reale della vita, sarebbe forse più interessato a gestire autonomamente parte del proprio denaro. Chi dovesse vedere, in questo, un sacrificio potrebbe non optare per la sua attuazione; molti saprebbero invece avvantaggiarsene, specie se già dotati di una buona anzianità di servizio o se latori di uno stipendio elevato.