Pace nella sicurezza   

Una condizione di pace stabile in un clima di sicurezza è quanto ambisce Israele per poter definitivamente pensare, dopo mezzo secolo dalla sua costruzione, al proprio effettivo sviluppo. E la pace nella sicurezza è anche quanto tutti auspicano nel Medioriente. E’ un percorso difficile, lungo, che passa attraverso il funzionamento del governo in Iraq, ma anche attraverso l’attenzione internazionale e l’intervento verso le forze che invece continuano a chiedere la permanenza di un conflitto arabo-israeliano: come gli sciiti Hezbollah in Libano, che continuano a pretendere di rimanere forza armata parallela alla democrazia con l’obbiettivo dichiarato di eliminare lo stato di Israele; come Hamas e le altre organizzazione armate in Palestina, che hanno già dichiarato che parteciperanno alle prossime elezioni per l’Autorità Palestinese con l’intento di boicottare il processo di pace. Pace che andrebbe garantita anche in altre aree del mondo, tanto in Africa quanto in Asia, dove invece i morti per guerre. dettate da interessi etnico-economici come in Darfur, continuano a contarsi nell’ordine di centinaia di migliaia. Il maggiore contributo alla pace nell’ultimo quarto di secolo è stato segnato proprio dal Papa di cui oggi si tengono i solenni funerali. Con le sue mosse internazionali di grandi visibilità e altamente istruttive per tutti coloro che sulle tensioni internazionali basano invece il proprio potere. Se è vero e giusto che la Palestina e Israele imparino a convivere l’uno accanto all’altro in pace, questo sarà un compito si grande peso e valore per il prossimo Papa. L’importanza del Conclave che si terrà nei prossimi giorni è quindi fortemente improntata alle capacità e al compito che il nuovo Pontefice avrà proprio sui temi della pace e dell’intervento internazionale della Chiesa, di cui Karol Woityla è stato massima espressione. Occorre un chiaro liberismo concettuale nell’analizzare e riconoscere il forte gioco di potere che si svolgerà tra le mura vaticane prossimamente, quando verrà indicato il nome di chi dovrà governare la più ampia comunità cristiana del mondo scegliendo di percorrere, o meno, il solco segnato da Giovanni Paolo II. Dalla capacità di governare i processi di pace mondiali, partendo da Israele, si potrà comprendere se i prossimi anni saranno bui o luminosi. Il desiderio della collettività tutta, anche non cristiana, sarà quello di avere un Papa forte e deciso, capace di dialogare con le altre religioni monoteiste e di smussare le tentazioni di guerra santa, dettate solo da pochi fanatici all’interno dell’Islam appoggiati da tutti coloro che dalle guerre traggono la propria ricchezza. Ricchezza e interessi così forti che, se non ci vogliamo nascondere dietro un dito, interverranno nella difficilissima assemblea romana, esercitando quelle pressioni immaginabili sui prelati ritenuti più vicini, promettendo in cambio premi che non riusciamo ad analizzare con serenità. Non solo la grandezza del prossimo Papa, ma la grandezza e la rilevanza dell’intera Chiesa Cattolica sono quindi in gioco nelle prossime settimane, non dimenticando le istanze che potrebbero provenire da chi è riuscito a mantenere, in questi decenni, l’Europa in ruolo di gregario osservatore esterno, con i danni evidenti prodotti nell’area Jugoslava prima, e con i disagi costruiti durante l’aggressione all’Iraq poi, con le forze europee mantenute su posizioni di contrasto interno.