Risparmio, crisi argentina e sistema industriale italiano   

Quanto incidono gli eventi delle ultime settimane sulla fiducia che abbiamo nel sistema bancario italiano? E quanto sulla fiducia estera nel nostro sistema creditizio? Quando nel dicembre del 2001 le strade dell’Argentina si riempirono di folla riottosa era accaduto l’imprevedibile. Nessuno si fidava più della possibilità di mantenere un cambio unico con il dollaro come moneta di riferimento, chiedendo la restituzione dei risparmi in valuta effettuato tramite le banche. E nessuno ottenne nulla. Neanche i nostri concittadini che avevano creduto nelle obbligazioni di stato di quel paese, dal bel nome di un agente segreto, bond. In Argentina era successo che, poichè il paese esportava più verso l’Europa che verso gli Usa, il cambio in rialzo della moneta statunitense aveva trascinato in profonda crisi l’industria, prevalentemente primaria, su cui si basava l’economia di quel paese. Rendendo non competitivi i prodotti per i prezzi troppo alti con cui figuravano, grazie al dollaro, e spingendo gli industriali argentini a delocalizzare le industrie nell’intorno sudamericano. Oggi, in Italia, paghiamo lo stesso scotto, grazie all’aggancio con l’euro che non ci permette più quelle sane svalutazioni tanto utili al nostro export, meno alla nostra finanza pubblica. Sembra quasi che sanare una cosa danneggi l’altra. E, come in Argentina, la nostra industria primaria è tutta spostata nei paesi dell’est europeo e in Cina. Come è uscita dalla crisi l’Argentina? Rivalutando il suo rapporto con il dollaro, portandolo dalla parità a un rapporto uno a tre; ristrutturando l’industria con una nuova legislazione sulla partecipazione dei lavoratori alla proprietà azionaria delle imprese e sulla gestione; ripristinando il ruolo effettivo del sindacato di collaboratore del fenomeno produttivo in luogo di quello illegittimamente assente di interlocutore in vista di decisioni politiche aziendali e governative. Così l’Argentina si è ritrovata una industria basata su tecniche innovative, con un ottimo export in agricoltura e con un’industria da oltre 4 milioni di clienti all’anno: quella del turismo. Dovremo passare attraverso la nuova annunciata austerity dei prossimi anni, prima di poter vedere un governo in grado di favorire queste trasformazioni in Italia e nel Sud.