Lo spazio dei valori   

Il gran clamore determinatosi dalla scomparsa di Karol Woityla e dalla successiva nomina al seggio ponteficio di Joseph Ratzinger, hanno determinato un picco di attenzione verso i temi della cristianità, della religione e delle scelte valoriali di ciascuno. In particolare si è creata una grande attesa verso gli atti di Benedetto XVI, su cui ciascuno potrà poi esprimere i propri giudizi, vincolati o meno dalla fede nell’infallibilità papale nei momenti sacri del suo ufficio. Distinzione tra momento santo e momento laico che viene meno quando, in assenza di atti post insediamento, ci si rifà alle notizie derivanti da discorsi, interviste ed omelie precedenti, culminate con la ormai notissima omelia “pro eligendi” del 18 aprile. Come si può evitare di non sottolinearne alcuni tratti, quasi preoccupanti, che evidenziano una spinta all’ingerenza della religione nella vita degli stati? Certo, e questo è umanamente comprensibile, approfittare, da parte della chiesa cattolica, dei riflettori puntati, per ottenere il risultato di rimarcare i propri valori portanti, non è affatto sindacabile. Così come non è sindacabile che, nello stesso momento, si inviino messaggi a tutto ciò che invece cattolico non è. Ed è quindi naturale che a tali messaggi si presti orecchio. Ma è sorprendente ascoltare una omelia in cui si attacchi tutto ciò che è diverso da se, puntando su un equivoco interpretativo abbastanza grave. Se, da un lato, possiamo comprendere come venga citato San Paolo quando definisce, per i cristiani, l’essere fanciulli nella fede se sballottati dalle onde e portati qua e là da ogni vento di dottrina, meno comprensibile diventa questo sballottamento quando riferito a cose diverse da se, dalla chiesa. La famosa critica al relativismo, parola che tenta l’accorpamento di tutto ciò che è esterno alla fede, è grave quando riferita al complesso della collettività umana. Grave perché nega l’esistenza del libero pensiero, che può certo essere giudicato dai valori cristiani ma che non può essere immaginato cancellabile dal “giorno della vendetta per il nostro Dio”, parte di una profezia che lo stesso Gesù omise di citare nella sua lettura a Nazareth, sottolineando così la differenza tra chi vedeva la fede, allora, come affermabile con la sopraffazione anche fisica, violenta. L’ipotesi di nullità delle aspirazioni ideologiche di tanti che si riconoscono nel liberalismo, nel marxismo, nel collettivismo, nell’ateismo, sono un grave errore commesso da Ratzinger nel suo pensiero. Nullità che cancellerebbe così, in nome di una unica dottrina, ogni spazio per il dubbio, sacro basamento della fede, precostituendo anche un pericoloso parallelismo con la nullità riservata ai credo diversi dal proprio. Nullità su cui la vendetta, istinto tutt’altro che cristiano, sembra riemergere dalle sue parole. Ciascuno potrà riconoscersi come parte di queste onde che sballottano la barca dei fedeli cristiani, che appaiono però come inabili necessitanti di tutela, immagine non proprio generosa verso i tanti pensatori di fede cattolica fin qui esistiti. Ci fa fiducia il simbolo scelto dal nuovo pontefice per il proprio stemma, le due chiavi strette da un nastro, che forse sono la dichiarata attenzione alle due anime contrapposte nella chiesa, dualità che ben rappresenta il pensiero libero che ognuno manifesta quando riesce a trovare, nello spendere la propria vita, anche uno spazio per i valori, per la capacità critica di analizzarne i contenuti, nella piena libertà di sceglierne alcuni come propri, lasciando liberi gli altri di valutazioni anche difformi.