La partita Iva in prima pagina   

Talvolta semplici norme a tutela degli interessi generali vengono disattesi perché non ne è diffusa la conoscenza. Questo è il tipico caso dell’obbligo, per i soggetti Iva, di pubblicare la propria partita Iva nella pagina principale, la home page, del sito internet aziendale. Obbligo entrato in vigore fin dal lontano ottobre 2001 (Dpr 404/2001 integrante il Dpr 633/1972), come ce ne da ampio conto Roberto Scano, presidente di Iwa Italia, sul notiziario Punto Informatico del 2 febbraio scorso. Il riflesso dell’obbligo, ribadito dalla Agenzia delle Entrate nella sua guida su internet, coinvolge quindi non solo le aziende ma anche tutte le amministrazioni pubbliche, essendo tutte soggette Iva. La sanzione amministrativa prevista, che oscilla dai 258,23 a 2.065,83 euro, può essere evitata regolarizzando la propria home page prima che scatti l’accertamento della violazione, non incidendo sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo. La ratio della norma, che attiene ai principi di pubblicità, può essere particolarmente utile a diminuire la frode a mezzo internet, facilitando l’identificazione del reale soggetto a cui risalire in caso di abuso. E’ evidente che esiste una discrasia tra quello che la norma prevede, riferendosi solo alla home page, rispetto al fatto che invece molte informazioni di carattere pubblicitario su internet si riferiscono a rimandi verso pagine difficilmente assimilabili al concetto di home page, insieme all’assenza dell’obbligo di rendere facilmente disponibile, in tutte le pagine di un sito internet, il collegamento alla pagina principale. Per fare un esempio comprensibile ai non addetti ai lavori: è possibile scegliere di leggere le informazioni connesse ad un collegamento pubblicitario, i banner, accedendo alle specifiche pagine di informazioni sul prodotto/servizio di nostro interesse, senza necessariamente visualizzare le informazioni Iva relative all’offerente, pur se questi le ha pubblicate nella sua home page dove non ci invita a recarci, fino all’acquisto on line. Così rimane da augurarsi che il navigatore attento impari a cercare queste informazioni prima di procedere con acquisti o prima di fornire, caso mai accettando deroghe, proprie informazioni protette dalla privacy. Anche se, a ben vedere, questa norma rimane disattesa dalla maggior parte di aziende, comprese quelle di nota serietà, insieme ad un vero e proprio sfacelo se la navigazione riguarda i siti degli enti locali. Siamo certi che i nostri lettori provvederanno subito a cercare nel loro sito l’esistenza del codice obbligatorio, provvedendo a segnalarne l’assenza ai responsabili della manutenzione. Ma ci auguriamo anche che ciascuno valuti di imporre, ad esempio nel piede di tutte le pagine, una riga con quelle blande informazioni che facilitano il contatto e l’identificazione, partendo dalla propria ragione sociale accompagnata, insieme alla partita Iva, anche dai normali dati anagrafici. Chissà che questo non aumenti anche la fiducia dei propri interlocutori.