Il fermento meridionale   

Caro direttore, sono irresistibili i richiami continui del presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo al valore prioritario dello sviluppo del mezzogiorno per l’Italia e per l’Europa. L’ultimo al 60mo anniversario dell’Assindustria di Brindisi, con appelli forti al superamento degli schieramenti partitici per favorire uno scenario d’azione che non può vedere nessuno contrario, uno scenario di solidarietà politica in nome di una salvezza che viene proprio dalla grande chance di stimolare l’arrivo di investimenti produttivi nelle nostre zone. Una vera riscossa può e deve arrivare dalle istanze che spingono da più parti, come quelle di una rinascita vera della pentopoli campana con l’ipotesi rilanciata dell’asse Roma Napoli, con l’appello degli intellettuali per la salvezza napoletana, appello che non dovrà assumere un connotato di parte ma che dovrebbe poter diventare terreno di sfida per qualunque forza politica. Posizioni sostenute con forza anche dal presidente designato Gianni Lettireri dell’Unione napoletana degli industriali, che il 25 prossimo avrà l’occasione di rafforzare il messaggio nazionale di Confindustria ribadendo i punti strategici del proprio programma. Insieme alle prove di alleanza già praticate dai presidenti delle regioni meridionali in occasione del Dpef a luglio, alleanza forte a difesa del flusso di denaro ancora necessario alle nostre aree. Flusso che il presidente Montezemolo auspica gestibile senza la mediazione della politica, stavolta contro le lobby accaparratorie che nuociono al lobbysmo di categoria, invece necessario per poter esprimere con forza le proprie esigenze. Il fermento meridionale potrà fare bene a tutti, potrà dare spazio a chi come Tremonti cerca un nuovo momento nella ipotesi di una Lega Meridionale, ma anche spazio al centrosinistra capace di generare ricchezza come in Emilia e Toscana, facendo da ponte proprio ad imprese di quelle aree. Il Sud è ancora lo spazio per creare una delocalizzazione interna, favorendo lo spostamento di imprese settentrionali che non riescono ad uscire dal circolo solo apparentemente virtuoso della politica dei distretti, causa anche di stagnazioni. Ma il disegno può chiudersi solo se le aziende meridionali e italiane sapranno esprimere nuove aggregazioni, superando lo schema di azienda retta dal padrone manager e favorendo invece una strutturazione più aziendalista, frutto di fusioni e accorpamenti, in grado di attrarre capitali. Troppe sono le poste in gioco, a partire dalla ultima finestra di finanziamenti europei (agenda 2007) fino alla liberalizzazione del mercato euromediterraneo. Per giungere a queste mete si dovrà superare il vecchio schema in cui ciascuno propone ipotesi palesi con la aspettativa di esserne il firmatario ufficiale. Modifica del sistema creditizio, aumento della sicurezza, sburocratizzazione, fiscalità di vantaggio sono necessità ovvie e idee di nessuno: ora è il momento di unirsi per realizzarle.