Il debito di Eurolandia   

L’Unione europea ha fatto si che molte cose intelligenti ed utili di un paese venissero rese disponibili agli altri per automatismi generati dalle direttive comunitarie o da organismi comuni. Una di queste cose è stato lo strapotere del sistema bancario che è riuscito a rafforzare l’euro in modo così significativo da portarne il suo valore a quasi un terzo superiore a quello del dollaro.Passando per il patto di stabilità, che impedisce quell’innalzamento del debito di ogni nazione europea oltre un tasso prefissato di rapporto con il Pil, anche per le voci di spesa relative agli investimenti. Proprio come gli Usa, che invece sull’aumento del debito pubblico puntano fortemente, riducendo l’indebitamento con l’estero proprio grazie all’indebolimento della valuta nazionale. Garantendosi, di contro, un maggiore appeal nell’esportazione, in una girandola di gran capitalismo che potenzia queste differenze avvantaggiandosi delle regoli liberali con cui si produce in oriente e si assembla e vende, gonfiandosi il portafoglio, a occidente. L’idea berlusconiana di modificare le regole del patto, favorendo la possibilità di aumentare il debito pubblico dei paesi comunitari in favore di uscite per investimenti, finalizzati allo sviluppo del paese, non può essere criticata tout-court. Contiene, infatti, la ricetta per una grande svolta proprio per nazioni come l’Italia, dal gran potenziale ma dalle notevoli ristrettezze in termini di disponibilità pubblica ad intervenire significativamente in quelle aree dell’economia che possono darci sviluppo. Ricordandoci sempre che il debito complessivo italiano è costituito per la maggior parte, oltre l’ottanta per cento, da titoli di Stato. Se una parte dell’utilizzo del debito pubblico fosse stornata a investimenti, aumentando il volume del debito insieme ad una necessaria, indispensabile ed urgente riduzione dei tassi di interesse da parte della Bce, si potrebbero attuare grandi programmi di sviluppo nelle aree di maggior disagio, che rimangono la disoccupazione e la sicurezza nelle zone prive di insediamenti industriali, tipiche del Mezzogiorno. Ma occorrerebbe quella grande maturità e consapevolezza che dovrebbe vedere, su questi temi, la capacità dei poli contrapposti di darsi strategie comuni, lasciando la parte di conflitto elettorale solo al mero farsi carico di governare tali strategie. A costo di essere ripetitivo: esistono punti cruciali del nostro sviluppo, come ricerca, disoccupazione, formazione e capacità competitiva globale, su cui è bene che si raggiungano accordi comuni, almeno sugli obiettivi da raggiungere e sulle strategie per ottenerli, confrontandosi e misurandosi solo dimostrando la propria migliore capacità di governarne i sottesi processi necessari. Per il momento constatiamo, con altri, che si prediligono politicamente le scelte relative ai contenitori e non ai contenuti.