Populismi cittadini   

Su un quotidiano napoletano, leggevo nei giorni scorsi la giaculatoria di alcuni operatori commerciali del centro storico che lamentavano una disastrosa fuga del pubblico serale dai baretti di Piazza Bellini e zone limitrofe. Basandola sul problema della microcriminalità come causa prima di questa diserzione, anche se i servizi della pagina sembravano mirare più che alla richiesta di maggiore sicurezza, già offerta dalle pattuglie quasi stanziali di tutori dell’ordine, alla domanda di una maggiore illuminazione pubblica. Posizione simile a quelle che spesso possiamo ritrovare quando si descrive altra microcriminalità, formata da squadre di ragazzini in motorino che dai quartieri meno serviti della Sanità o dei Quartieri Spagnoli si recano al sacro Vomero per importunare le ragazzine locali, provocando risse a base di coltellate e ferimenti di vario tipo. Simile ancora all’ipocrita lamento che proviene dalle terminazioni cittadine della metropolitana collinare, accusata di scaricare troppa periferia al centro, troppo popolo tra i borghesi. Miscela buon argomento per molti intellettuali d’accatto, servi di questo o quel potere in funzione del vento narcisista a cui sono soggetti, se non servi di un prezzo che devono poi farsi pagare. Toh! Le stesse categorie di personaggi de “Il resto di niente” di Spriano, libro che regalo da tempo a chi conosco che non vive a Napoli, per dare un rapido strumento di analisi della nostra città, del nostro meridionalismo. In barba a Croce e Marotta! Questi lamenti populisti contro la città che invade la città, contro la rottura del muro di cinta, sono esecrabili come lo era un invitato ad una delle recenti cene elettorali a cui ho preso parte, che, ben vestito ma poco dotato, s’accaniva con argomenti d’ogni tipo per dimostrare che non c’era alcuna speranza di emancipazione per quelli che paragonava a bestie. Mi pare citando l’esperienza della propria compagna, malpagata insegnante elementare in periferia, e delle sue difficoltà lavorative, tra minacce e sforzi definiti inutili. Quando l’orda spendente dei giovani benpensanti napoletani si spinse a frequentare l’area tra San Domenico Maggiore e Piazza Dante, una decina di anni fa, non lo fece con spirito integratore, ma con veemenza di conquista espulsiva. Veemenza che ora, giusto boomerang, genera i fantasmi e le ombre da cui guardarsi, in realtà indigeni atavici. Finché non si compie lo sforzo di favorire l’integrazione e lo scambio tra le diverse anime, quasi etnie, della nostra città, finché non vi si prende parte attivamente, nessuno di noi sarà emancipato veramente. Ed il clamore di una domenica di maggio sindacale a Scampia è un segnale utile, a cui si devono però accompagnare coraggiose iniziative culturali, come lo è stata la bellissima rassegna cinematografica curata da Desireé Klain nei mesi scorsi. A cui è mancata però, colpevolmente, la presenza fisica di molti rappresentanti della politica locale. Perché non spingersi coraggiosamente in dibattiti pubblici, con scuole di Chiaia che vanno a Pianura, licei del Vomero in visita a Scampia, scolaresche della Sanità che dialogano con coetanei di Posillipo? Dibattiti centrati proprio sull’argomento del viaggio interno alle variegate culture metropolitane, al loro confronto, allargandolo poi a tutta l’immensa umanità giovanile della nostra provincia. Vuoi vedere che ci si scopra poi tutti uguali?