Un lucido terrore   

Caro direttore, l’orrore che nasce dalla strage di Beslan, in Ossezia del Nord, deve anche servire per approfondire coraggiosamente quello su cui il terrore cerca di non farci ragionare. E’ proprio l’angoscia, del ricatto e della strage, uno degli obiettivi perpetrati dai criminali che oggi chiamiamo terroristi. Su questa parola, terrorista, dobbiamo riflettere innanzitutto. Perché, come ricorda anche Magdi Allam in “Kamikaze Made in Europa” (Ed. Mondadori), i giornali arabi non usano mai questa parola? E’ giusto confondere l’attentato di Sarajevo nel 1914, fautore del primo conflitto mondiale, con i gruppi degli anni di piombo, o della strategia della tensione, che hanno imperversato in Europa negli anni ‘70, con questa onda folle nata con il nefasto 11 Settembre 2001 e giunta fino al drammatico epilogo in Russia? I gravi accadimenti delle ultime ore sono il segno di una misura passata, anche perché nessuno può immaginare di portare un qualunque risultato alla propria causa con questi atti. E lo hanno insegnato le reazioni dei popoli civili, che davanti al terrorismo interno in Europa hanno reagito con la fermezza e la dissociazione, lasciando soli e inutili i violenti di allora. Ne è traccia il disagio mortale che si vive tra Israele e i territori di Gaza e Cisgiordania, non più additabile quale causa della follia mondiale di poche migliaia di fanatici. Nelle ultime settimane abbiamo subito continui episodi che stanno portandoci verso un aperto conflitto planetario, partendo da chi manteneva le distanze: gli ostaggi nepalesi, i giornalisti francesi, la tragedia russa. E’ la velocità, la densità degli eventi che sembra non più controllabile. L’Europa, che avrebbe dovuto essere più unita e più forte, è indebolita dalla crisi internazionale e dovrà incominciare a reggere il peso di un allargamento che giunge in un momento paragonabile a quello della riunificazione delle Germanie. La Cina, come l’India prosegue nella sua inarrestabile marcia verso un dominio della forza lavoro, trasformandosi da nuovo mercato potenziale in sicuro leader delle esportazioni mondiali. Il Sud America è scosso da modelli economici insostenibili, che stiamo mutuando con crisi sperimentate in Albania e Argentina nel nostro paese. Verso la fine del secolo scorso ci si arrovellava nell’individuare quale modello economico si sarebbe sostituito a quello della contrapposizione comunismo-capitalismo: credo che il braccio di ferro tra poteri mondiali a cui assistiamo sia la risposta. Per il momento il mondo si sta impoverendo, come fu allora per l’Unione Sovietica, destinando alle armi parte della propria ricchezza. Nessuno sembra più ricordare Ghandi e il suo modo di vincere le rivoluzioni.