Ict e crescita produttiva   

E’ tempo di aprire una riflessione sul ruolo dell’Ict, in particolare dell’informatica gestionale, nello sviluppo produttivo del paese ed in particolare del mezzogiorno, alla luce della storia del mercato negli ultimi venti anni, cioè dalla diffusione massiccia dei personal computer in poi. Quello che è accaduto dal punto di vista delle macchine è stata l’evidente rapida saturazione delle unità installabili in azienda, seguite da una maldestra rincorsa tra l’aumento della potenza elaborativa saturata di continuo dalle maggiori richieste di risorse del sistema operativo più diffuso e dalle applicazioni di office automation dello stesso produttore: Microsoft. Accompagnato da nascite e precoci trapassi di tentativi come OS/2 di Ibm e adesso di Linux. Con qualche piccolo problema in più. Se nei primi anni ’90 le Pmi si avvantaggiavano di prodotti un tempo solo destinati alle grandi aziende, lentamente si è ricreato un distacco nel rapporto prezzo/vantaggi che le soluzioni informatiche offrivano. Non tanto e non solo nella possibilità di accedere vantaggiosamente ad applicazioni gestionali complesse, come le piattaforme di analisi statistiche dei dati gestionali (datawerhouse) o quelle di produzione collaborativa (workgroup), ancora troppo costose per funzionare in piccole realtà. Ma anche grazie alla confusione generata dalla pletora di persone non qualificate che ormai infestano il panorama dei consulenti informatici, abbracciando, per esempio, in questa categoria una moltitudine di puri negozianti, senza dimenticare i tanti giovani parvenu armati di giravite e schede o di mere nozioni di base, spesso accompagnate da perniciose fantasie o misunderstanding. La domanda che ci poniamo è: chi porterà nel famoso tessuto produttivo delle piccole aziende, solida base dell’economia italiana, il giusto grado di cultura all’innovazione? Di chi si devono fidare? Se ci rivolgessimo allo specialista certificato da casa madre, potremmo incontrare un valido, ma costoso, esperto in un paio di temi troppo specifici, pronto a fondarsi sul resto del mondo a lui ignoto per vile denaro, con danni prevedibili al sistema gestionale aziendale. Appellandosi ad albi professionali o certificazioni pubbliche, per esempio regionali, otterremmo gli stessi disagi prodotti da altri albi professionali. La soluzione rimane nella scelta di modificare il modello di domanda di servizi Ict attesi dalle Pmi, con due azioni vincenti: distinguere tra consulente che indirizza i fabbisogni informatici gestionali e operativi dell’azienda dai fornitori delle soluzioni individuate, capaci di produrre referenze verificabili, e rinunciare alla politica del massimo risparmio, puntando invece al raggiungimento di obbiettivi pianificati di sviluppo dei servizi interni, affidandosi a chi conosce le innovazioni disponibili. Per capirci: chi consiglierà alle Pmi di usare Google Desktop per la ricerca dei numerosi documenti prodotti in azienda? Chi suggerirà l’utilizzo di servizi remoti, invece di continuare a comprare licenze che diventeranno presto obsolete? Come fare a “conoscere per usare” senza che il consulente sia coinvolto poi nei margini relativi agli acquisti effettuati?