Influenza aviaria e strategia del terrore   

Sarebbe semplice fantasticare sull’influenza aviaria, ipotizzando che sia una produzione di laboratorio destinata a incidere sulla mortalità nei paesi nordafrricani, la zona che sarà più colpita da un’eventuale pandemia a causa dei flussi migratori degli uccelli. Sarebbe facile immaginare che l’allarme generato in tutto il mondo sia in realtà frutto di una campagna di marketing di alcune case farmaceutiche. Fatto sta che senza ragioni concrete la gente ha smesso di mangiare polli e uova, aumentando le frotte che non compravano carni rosse per paura della Bse e quelli che non gradiscono i suini perché associabili a ormoni della crescita, portando i prezzi degli ortaggi alle stelle. Sperando che ci si sappia orientare nel dedalo nutrizionale, per non sottrarsi le proteine necessarie, ricordiamo anche di stare attenti alla soia geneticamente modificata, di bere acqua distillata e chimicamente purificata, facendo attenzione a ricordarsi, prima di bere, di scostare la mascherina che evita l’aspirazione delle polveri sottili. Sempre che non capiti di saltare per aria in qualche imprevedibile attentato metropolitano, di infettarci durante un rapporto occasionale o di accorgersi che piombo, amianto et similia ci hanno già compromesso da tempo. Compromissione di cui potremmo fregarcene se coinvolti in uno tsunami o un uragano forza cinque. Mentre la popolazione umana cresce a ritmi smisurati, roba che riguarda i fecondi arabi, asiatici e cinesi, noi occidentali (a ovest di cosa? Ma di Roma, ovviamente) ci ritroviamo a rimpiangere la guerra fredda e l’unico terrore che provavamo: la guerra termonucleare globale. Con l’ultima fantasia che ci rimane: che tutto ciò sia ordito da ignoti cospiratori, forse alieni, il cui compito è annientare l’umanità arricchendosi a più non posso. E di certo qualcuno trae vantaggio da questa colossale macchina del terrore, vantaggio economico di cui investitori e imprenditori non possono non interessarsi, come evidente nelle imprese coinvolte dai conflitti bellici contemporanei. Riusciremo a convincerli che forse è meglio occuparsi di ecologia, investimento, anche politico, con maggiori e più duraturi profitti nel tempo?