Costo del denaro, Nord-Sud: differenza eccessiva   

Quante volte abbiamo sentito parlare della differenza dei tassi d’interesse, praticata sui conti debitori, che esiste sensibilmente tra Nord e Sud pur a parità degli istituti di credito? Ebbene, viene voglia di ricordare a tutti l’articolo 3 della nostra Carta costituzionale: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Sembra evidente quindi che l’applicazione di tassi diversi ponga condizioni diverse allo sviluppo economico del Paese, semplicemente in funzione della zona in cui l’impresa risiede. Con un’evidenza gravissima che penalizza le imprese di dimensione più piccola, a favore di quelle che poiché di respiro nazionale possono stipulare accordi bancari nella zona di maggiore convenienza. Queste differenze territoriali non sono forse quello che la Costituzione definisce “ostacoli di ordine economico” tali da limitare di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini di un unico Stato? Non sono forse queste differenze tali da impedire una eguale possibilità di sviluppo economico, e quindi personale, per tutti gli imprenditori meridionali? Altro che federalismo e devolution: le banche lo hanno applicato e lo applicano in barba proprio al dettato più vincolante, anche contro il successivo articolo 41 della stessa Costituzione, che al secondo comma detta “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.” Ed è facile comprendere come può sentirsi la libertà o la dignità di un imprenditore meridionale che, consapevole di operare in aree di minore vantaggio rispetto al suo collega settentrionale, paga un costo del denaro inspiegabilmente superiore. Come già notato sulle colonne di questo giornale, ci si è tutti dilettati nel mestiere di costituzionalisti in occasione dell’ultimo referendum. Ma in merito alla questione sollevata adesso, ci si consenta una semplice domanda: quando si indica che la Repubblica debba rimuovere questi ostacoli alla crescita meridionale, delle sue imprese e dei suoi cittadini, chi immaginate debba intervenire?