Il ruolo della comunicazione nella lotta al terrorismo   

Leggere le disposizioni del manuale da campo US Army FM 30-31 B, attribuito al Kgb dalla rivista italiana di intelligence Gnosis nr. 21 del 2001, o rileggersi “Chi ha ucciso Silvio Berlusconi”, seconda opera di Giuseppe Caruso, edito da Ponte delle Grazie nel 2005, ma scritto abbastanza prima, lascia scivolare una delle più subdole delle ipotesi, ma sempre diffusa.
Che alle spalle dei gruppi terroristi in Italia, fermi indissolubilmente su una ipotesi di rovesciamento del potere basato su manovre suicide, espresse dalla peggiore base nazionalpopolare che la sottocultura possa manifestare, vi siano manovre e azioni di parti dei servizi segreti italiani; che in questo caso assumono l’epiteto di “deviati”.
In ipotetica collaborazione con qualche servizio segreto straniero, russo o mediorientale se il terrorismo è purpureo; sempre statunitense, con rare comparse del Mossad, quando i gruppi armati sono di destra, più rari apparentemente. Specie se si escludono atti terroristici compiuti dall’interno delle istituzioni, come fu nel caso del Gen. De Lorenzo nel famoso “Piano Solo” del 1968. Svelato dal giornalista Lino Jannuzzi, sotto la direzione di quell’Eugenio Scalfari, che diviene deputato proprio nello stesso anno, dopo aver portato l’Espresso in cinque anni alla tiratura di oltre un milione di copie. Lo stesso Scalfari collaboratore, nel Mondo, di Mario Pannunzio e cofondatore nel 1955 del Partito Radicale. Appare così che il terrorismo sia sempre ammantato della presenza di una qualche parte politica, ideologicamente connessa con le istanze estreme di questi gruppi. Qualche volta sarà pur vero, ma ci preoccupa l’ipotesi che invece sia un escamotage pensato per tranquillizzare le masse rendendo, da un lato, vana la speranza che gruppi di persone siano autonomamente in grado di produrre eversione, e dall’altro tranquillizzare la maggioranza obnubilata dei cittadini che tutto sia sempre sotto sereno controllo? Insomma il potere potrebbe immaginare una diffusa disattenzione popolare, che spesso rasenta l’idiozia di chi, giovane o meno giovane, immagini di poter usare una qualsiasi forma di violenza per far valere le proprie idee.
Quando la storia ci insegna che poté più il Mahatma Gandhi che Adolf Hitler, se si misura il rapporto tra sforzo e risultato. Perché Hitler, come Stalin, erano terroristi rivoluzionari, e se hanno cambiato il mondo in meglio è solo perché ci hanno insegnato il ruolo della memoria: per non ripetere più gli errori che hanno portato non solo alla loro presenza, ma all’accettazione forzosa del consenso fondando su due elementi, terrore ed esaltazione, che nessuna civiltà sinceramente democratica può minimamente tollerare. Il primo che và combattuto con l’azione giudiziaria, il secondo con le leggi della maturità politica, che per prima dovrebbe annullare la moda della lite, insegnata a piè sospinto dal trash di cui imbottiscono tutti, ma specie le giovani menti.