La lite pubblica Berlusconi-Lario tra ipocrisia e falso perbenismo   

Quello che stupisce analizzando la pessima vicenda Berlusconi-Lario è la confusione che regna imperante sul termine galanteria, insieme alla evidente ipocrisia maschilista di tanti che hanno deciso di impugnare la penna per esprimere solidarietà alla consorte dell’ex premier o per elogiarne la risposta.
Ipocrisia perché, oltre alle ovvie rimostranze private, lavate con carta pubblica, ci si deve continuare a chiedere come mai tanto perbenismo, e cura della dignità dell’essere donna, sia spuntata solo dopo la chiassata giornalistica. Gli inviti pubblici dal palco a scambiarsi i numeri di telefono, adducendo propria disponibilità, o le sguaiate osservazioni sulle belle gambe in platea sono episodi che Berlusconi produceva già da tempo. E nessuno aveva mai sentito il prurito di commentarle.
L’attento comunicatore, come qualcuno lo definisce, o parte del suo staff, avrebbe dovuto porsi il problema della reazione della platea a tanta scostumatezza. Ci sembra chiaro che nel conto della convenienza siano stati sicuramente determinanti due fattori: da un lato la sottocultura maschilista e qualunquista del “così fan tutti” fa pensare ai vari maschietti vicini all’ex premier che era uno che ci sapeva fare, nonostante la vetusta età; dall’altro lo stereotipo della donna di centro-destra nazionalpopolare, poco dotata di emancipazione se non di identità propria, fa si che si possano immaginare le tinte casalinghe cadere in brodo di giuggiole davanti ad aperture insperate, tipiche dell’essere fan di gruppi musicali o sportivi, piuttosto che di dignitari di stato politici o legislatori. Ma tant’è: il clima creato da questa forza nuova con gli show da multinazionale, invece che di congressi politici, forse più tediosi, ma meglio utilizzati da altri per costruire disegni politici e teorici condivisi, comprende intrinsecamente la boutade da barca alla rada di Porto Rotondo. Simile alla scelta di affidare la satira politica al varietà gretto e volgare, comprensivo di soubrette seminuda, invece che al cabaret d’attore, preferito dalla controparte politica, insieme al resto del panorama culturale di alto livello. Una emancipazione della destra da questo scenario si rende ormai necessario, trasformando così realmente la nostra in una democrazia completa.
Ma occorre il coraggio di vedere nascere i distinguo, di far proprio un reale moto di dignità e rifuggire dall’americanismo anni ’50 in cui ci ha piombato la televisione commerciale. Non obbligata da nessuno né a ridurre la violenta invasione da spot, né a inserire reali programmi formativi e culturali nei palinsesti, né a moderare la presenza di film e spettacoli che quando non sono violenti sono almeno indecenti. In un mondo fatto di aspiranti veline desnude e calciatori poco scolarizzati, senza che nessuno vi si opponga, come si fa a simulare poi tanta attenzione, comprensione e solidarietà per la vituperata consorte?