Un terrorista pentito   

Caro direttore, in libreria possiamo trovare, edito da Rizzoli, il libro “La peggio gioventù — una vita nella lotta armata” di Valerio Morucci. Il libro si inserisce in una sorta di boom editoriale postumo che vede la pubblicazione di numerose analisi e “racconti dal di dentro” legate agli anni di piombo, al terrorismo casareccio italiano. Boom che, sfruttando il momento di rilancio della parola “terrorista” dopo le Twin Tower, dovrebbe anche allarmare se Toni Negri come Franceschini sono disponibili sugli scaffali, proprio quando le tensioni sociali sono così forti, specie tra i giovani che posseggono minuscoli e insufficienti strumenti culturali di analisi critica. Il libro di Morucci è scritto veramente con gran stile narrativo, anche se conosciamo tutti i miracoli dell’editing moderno. E’ scritto come un gran dialogo con un interlocutore che pone anche domande incalzanti, interlocutore che non si capisce se essere reale o se frutto di una specie di schizofrenia da prigione. Viene tratto un gran percorso dagli anni ’60 ai giorni nostri, con una sorta di obiettivo di ripercorrere storicamente e analiticamente quel periodo con gli occhi e la testa di chi c’era dentro, tentando di trovare una giustificazione a quella scelta letale di uccidere per far valere le proprie idee. Scelta che viene più volte deprecata dall’autore, che appare spesso “pentito” di quella decisione, ma che riesce a far venire i brividi a chi è sempre stato dall’altra parte, quella blanda della legalità. In grande sintesi Morucci ci illustra come la causa dei suoi mali derivi, da un lato, dalle sassaiole che, secondo lui, erano abituali tra ragazzi di ogni ceto e classe a Roma, trasformatesi poi in lancio di porfidini e piombo contro la polizia nelle manifestazioni studentesche. Dall’altro dalle origini comuniste degli ambienti che frequentava, subito inserito in quei movimenti che poi fecero scegliere tra la lotta armata o il Pci. Ci sono tanti pezzi dei nostri tempi, in queste pagine, che però contengono e traspirano ancora troppo di disillusione e analisi critica verso una lotta che appare sbagliata tatticamente e strategicamente, non sbagliata per le intenzioni e i contenuti ideologici, come in realtà era ed è sbagliato il pensiero di poter sovvertire uno stato attraverso omicidi, rapimenti e stragi. Morucci dà anche i voti, stimando il Francesco Cossiga picconatore e litigando, tra le righe, con Moretti, Franceschini e Curcio. Visibilmente innamorato, classisticamente sopraffatto, della figura romantica di “Osvaldo”, Giangiacomo Feltrinelli, che riesce a far apparire un rozzo e viziato borghesotto che sceglie il terrorismo, invece della droga, come svago giovanile. Sebbene ne consigli l’acquisto e la lettura, con il dispiacere di sapere di procurare denaro ad un ex terrorista, non si può evitare di condannare la pochezza intellettuale, in cui quel tipo di sinistra rimane inchiodata, per come non riesca a cogliere la differenza tra la difficile e sfiancante tenzone democratica e la banalità del vano tentativo di far valere con le armi e la violenza le proprie idee.