Democrazia governante   

Mentre ci si avvia verso condizioni di economia nazionale tali da farci ricordare l’Argentina che fu, poiché già ora presenta tassi di sviluppo ben più alti dei nostri, il premier Silvio Berlusconi ha presentato un suo disegno per stringere gli alleati dentro le briglie di un partito unico, precursore dell’attuazione di un bipartitismo reale. Alcuni immaginano che ciò sia dovuto ad un calcolo politico che veda perseguire l’obiettivo diametralmente opposto, cioè quello di ottenere una sconfitta sulla proposta che invece favorisca la restaurazione del regime proporzionale, che darebbe maggior agio, nelle prossime tornate elettorali, a Forza Italia di muoversi con alleanze meno vincolanti di quelle attuali. Altri invece hanno proposto un’analisi che protenda verso la necessità del premier di garantirsi una governance diretta della democrazia, paventando ipotesi anche di carattere autoritario. Le due analisi sono ingenerose, e se fossero esatte indicherebbero una grave crisi nel gruppo di consiglieri di Berlusconi, segnale per loro di valigie già pronte verso lidi meno agitati. Perché non pensare che, invece, si sia compreso come la quota proporzionale, ancora in vita nelle elezioni parlamentari italiane, figlie di un compromesso dei primi anni ’90, sia una iattura da cui liberarsi per sempre? Una decina di anni fa, indipendentemente dalle onde e motivazioni popolari che condussero al risultato, in Italia si è tentato di abbattere per sempre quel sistema compromissorio e consociativista in cui ci trovammo costretti dalla fine della seconda guerra mondiale, sistema in grado di scongiurare il pericolo comunista al governo, ma anche sufficiente, e necessario, a pagare il fio all’allora Sovietica Unione, come fu il muro di Berlino tra le due Germanie. Forse solo i Radicali, con Marco Pannella, tentarono vanamente di implorare perché non si compisse lo scempio di lasciare in vita una significativa quota proporzionale, che rendeva il passaggio al maggioritario solo apparente, consentendo infatti poi la nascita di un numero di sigle e partiti ben superiore a quelle presenti nella prima repubblica. Radicali oggi tacitati dalla conventio ad excludendum nei loro confronti, imposta dalla politica a tutti i media, pubblici e privati, forse proprio in onore alla loro dichiarata intenzione di dissolversi nel bipartitismo, una volta raggiunto lo scopo. Ma il maggioritario uninominale a turno secco e l’elezione diretta del premier sono cose per popoli liberi e democratici, generatori inevitabilmente del bipartitismo, che a sua volta genera l’impossibilità dei continui ricatti trasversali a cui, oggi, qualunque premier andrebbe, come va, soggetto. E se il progetto di Berlusconi fosse quello primigenio, come gli suggeriva fortemente Urbani, cioè di governare con il solo trenta per cento di consensi? Se a qualcuno spaventa questa idea, che si attrezzi per combatterla sullo stesso fronte, in cui non vi sarebbe spazio per alleanze tra chi millanta, con l’erre moscia, la rappresentanza dei movimenti, narcotizzandoli, e chi, supino ai voleri vaticani, parla di diritto alla vita per imporre il proprio pensiero, in barba, come sempre, alla necessità di legiferare l’esistente. Noi, gli elettori, siamo pronti alla pugna.